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sabato 1 giugno 2013

Gli ultimi pagani, appunti di viaggio di un etnologo poeta


TITOLO: Gli ultimi pagani, appunti di viaggio di un etnologo poeta
AUTORE: Fosco Maraini
CASA EDITRICE: BUR
PAGINE: 202 (123 quelle sul Giappone)
COSTO: 7,5 €
ANNO: 2001
FORMATO: 20 cm X 13 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788817125710

Fosco Maraini racconta la vita di tre popolazioni dell'Asia, due di queste riguardano il Giappone, la recensione si sofferma su queste. I due gruppi etnici giapponesi sono quelli degli Ainu e degli Ama.
Nel 1985 la popolazione Ainu ammontava a circa 25000 persone, quasi tutti meticci di giapponesi e russi.
La religione Ainu attribuisce agli animali della foresta un'anima immortale, il più venerato è l'orso. La cerimonia in cui l'anima dell'orso veniva inviata nella sua dimora celeste si chiama “iyomande”, ed è uno dei riti principali della loro religione, Maraini racconta gli Ainu attraverso questo rito. Iyomande (kuma-matsuri) significa “farlo partire” e può essere riferito, oltre che ad un animale, anche a un oggetto. L'autore partecipò a due iyomande, nel 1954 (villaggio di Kotan sulle sponde del lago Kutcharo) e nel 1971 (nel villaggio di Nibutani). Secondo Maraini il rito del 1954 fu uno degli ultimi autentici iyomande, infatti gli anziani Ainu (ekashi) morirono poco dopo, e con loro le tradizioni che i giovani avevano sostituito con la cultura del popolo Shamo (i giapponesi). 
 Nella tradizione l'orso dello iyomande era il cucciolo di una madre (o padre) uccisa durante la caccia. Il cucciolo veniva tenuto al villaggio, nutrito (se era nel periodo dell'allattamento una donna del villaggio lo allattava al suo seno, usanza scomparsa nei secoli passati), e riverito. Arrivato ai 3 o 4 anni di età, col rito dello iyomande, il cucciolo veniva “restituito” ai genitori e agli avi. L'uccisione dell'orso non è un sacrificio agli dei, perché l'orso stesso è un dio. Gli Ainu, colmandolo di doni, lo rimandavano dai genitori pieno di cibo ed oggetti, e l'orso, per gli Ainu, era consapevole e felice del suo destino. Lo iyomande non aveva una cadenza regolare, avveniva ogni 3 o 4 anni o anche più.
Nel 1954 Maraini si recò nell'Hokkaido, e con l'aiuto di due studiosi giapponesi riuscì ad organizzare uno iyomande. Lo organizzarono perché gli Ainu del villaggio Kotan erano divenuti così poveri, a causa delle privazioni della guerra e degli anni successivi, che avevano venduto tutti gli abiti tradizionali, inoltre non possedevano neppure un orso per il rituale e neppure il cibo e i materiali per effettuarlo. Gli abiti tradizionali furono prestati dal museo di Kushiro e l'orso fu comprato da un villaggio Ainu vicino. In quel 1954 le donne anziane avevano ancora il contorno della bocca e le mani tatuate, mentre quelle giovani già non si tatuavano più.
Nel 1971 Maraini assistette ad un altro iyomande a Nibutani. La generazione di vecchi ekoshi del 1954 erano scomparse, e con loro gran parte del rito originario. Dopo un periodo di disinteresse durante gli anni 50 e 60, i giovani Ainu ricominciarono a seguire le tradizioni, ma per puro interesse turistico. Dovettero recuperare molta parte dei riti tramite pubblicazioni o documentari. Durante il secondo iyomande raccontato da Maraini si era perso il suo senso religioso, era diventata una rappresentazione per turisti, debitamente pagata. Maraini per questo non giudica male i giovani Ainu, si limita ad osservare le differenze rispetto a quello del 1954, celebrato dagli ekashi di prima generazione. Nel 1985 lo iyomande non ha più un carattere meramente turistico, ma più di riappropriarsi delle tradizioni Ainu, una rivendicazione identitaria, politica, comunque non religiosa come nel 54.
Esiste un altro gruppo etnico che conserva tratti peculiari, seppur assimilato (più degli Ainu) ai giapponesi), si tratta degli Ama. Una popolazione dedita alla pesca del mollusco awabi, compito riservato esclusivamente alle donne, che si tuffano in apnea fino a 20 metri di profondità. Grazie a questo ruolo le donne Ama hanno un ruolo più importante nella famiglia e nella vita del villaggio rispetto alla media delle donne giapponesi. Gli Ama tendono a sposarsi con altri membri del villaggio, quindi mantengono una distinta identità antropologica e culturale. Gli ideogrammi Ama significano Donna-Mare e Uomo-Mare. I giapponesi considerano gli Ama bravi nei loro lavori, ma fondamentalmente primitivi ed animaleschi. Maraini nel 1954 si recò sull'isola di Hekura, composta di circa 300 case, per girare un documentario sulla pesca dell'awabi.. Inizialmente gli Ama di Hekura non collaboravano al progetto di Maraini, e neppure concedevano la loro fiducia agli stranieri, specialmente le pescatrici Ama. Un giorno Maraini va a pescare col suo fucile da immersione, accompagnato da una donna americana della troupe documentaristica. Al rientro Maraini ha preso un pesce Tai e gli viene in mente di chiedere alla sua accompagnatrice di rientrare abbigliata come le pescatrici Ama, cioè vestendo solo con gli slip, a seno nudo. Sperando che le pescatrici Ama vedendola prendessero fiducia, ma in un villaggio Ama vedere una donna semi nuda è come vedere un albero nella foresta. Fu il pesce pescato da Maraini e specialmente il fucile subacqueo ad attirare l'attenzione della popolazione a a rompere il ghiaccio. Così Maraini riuscì a farsi assegnare 4 pescatrici Ama per il documentario, pagando il relativo mancato introito delle pescatrici. Precedentemente al fatto della pesca col fucile subacqueo il capo villaggio si era rifiutato di distogliere le donne Ama dal loro lavoro. In questa occasione Maraini chiese al capo villaggio il perché fossero solo le donne, invece degli uomini, a pescare. Questi rispose che le donne sono più resistenti degli uomini, sopportano più a lungo il freddo dell'acqua, hanno più fiato e sono più tranquille. Anticamente si tuffavano anche gli uomini, ma rendevano di meno. Gli uomini Ama assistono le pescatrici dalla barca, tirando con tutta la loro forza il cavetto che le donne si legano alla vita e che serve ad aiutarle alla risalita quando l'aria inizia a mancare. Una delle Ama disse a Maraini che gli awabi diminuivano di anno in anno, che forse erano in troppe a pescare (circa 200), e per questo c'era chi doveva tuffarsi oltre i 20 metri di profondità, cosa faticosissima. Ogni Ama faceva immersioni di 45-50 secondi, talvolta un minuto, dopo una ventina di immersioni 8un'ora circa di lavoro) si riposavano per 30 minuti. A mezzogiorno pranzavano e si riposavano un po' di più, poi ritornavano a lavoro fino alle 16/17 del pomeriggio. Tutto questo da giugno a settembre, il periodo degli awabi, spesso col cattivo tempo ed il freddo. Nonostante questa dura vita le Ama, ma anche gli uomini, godevano di ottima salute, ed erano molto longevi, inoltre le morti durante il lavoro erano molto rare, tanto che quando capitavano se ne parlava per anni.

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