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domenica 2 giugno 2013

La vera storia dei kamikaze giapponesi, la militarizzazione dell'estetica nell'Impero del Sol Levante


TITOLO: La vera storia dei kamikaze giapponesi, la militarizzazione dell'estetica nell'Impero del Sol Levante
AUTORE: Emiko Ohnuki-Tierney
CASA EDITRICE: Bruno Mondadori
PAGINE: 350
COSTO: 12 €
ANNO: 2004
FORMATO: 21 cm X 14 cm
REPERIBILITA': Reperibile su internet
CODICE ISBN: 9788861592711

Quando il viceammiraglio Onishi Takijiro creò le operazioni tokkotai (kamikaze) non un solo ufficiale di carriera delle accademie militari si offrì volontario. I volontari furono i giovani piloti, quasi tutti militari di leva, in gran parte (l'85%) provenienti dalle file dei “soldati studenti”, universitari che passarono dalla scuola alla coscrizione obbligatoria. Questi “soldati studenti” non solo facevano parte dell'élite intellettuale, ma scrivevano diari (che erano obbligatori) con le loro sensazioni e lettere alle famiglie. Questi scritti sovente contestavano il regime militare, erano “soldati intellettuali” che leggevano tantissimi libri, anche di autori occidentali. Questi piloti erano anche cristiani, talvolta marxisti. Il saggio cerca di rispondere alla domanda: i piloti giapponesi si sacrificarono per l'Imperatore o per il proprio paese?
Il saggio analizza anche la connessione tra i fiori di ciliegio e i piloti kamikaze, cioè il simbolismo del sacrificio per l'Imperatore equivalente alla caduta dei petali dei fiori di ciliegio.
Il primo capitolo illustra l'importanza dei fiori di ciliegio nella storia del Giappone pre-Meiji, dai miti della creazione presenti nel Kojiki.
Per esempio il nipote della dea Amaterasu, mandato da lei sulla terra (Giappone) per renderla fertile e civilizzata, si sposa con una ragazza bella “come un bocciolo su un albero”, cioè una dea essa stessa legata ai fiori di ciliegio. Inoltre nel Giappone antico la divinità più importante era quella della montagna, identificata con i fiori di ciliegio, che in quel periodo crescevano solo in montagna. Quando i contadini iniziarono a fare le previsioni sul raccolto del riso in base alla fioritura dei ciliegi di montagna, questi iniziarono ad essere piantati nei cortili di casa, generando il “culto” dei ciliegi in fiore.
Si credeva che la divinità della montagna (in quel tempo la più importante), trasportata dai petali dei fiori di ciliegio, arrivò sulle risaie divenendo divinità delle risaie. Quindi il ciliegio (e i suoi fiori) divenne sacro sia per gli abitanti delle montagne che per i contadini. Col tempo il fiore di ciliegio, legato al riso, divenne il simbolo della riproduzione femminile, infine della donna stessa e dell'amore. Il collegamento tra i fiori di ciliegio e l'amore risalta nell'analisi di tutti quei testi scritti che narrano la “contemplazione dei fiori di ciliegio” (hanami). I fiori di ciliegio, in definitiva, sono diventati il simbolo di vari processi umani, il ciclo vita-morte-rinascita, ma anche delle forse produttive (riso) e riproduttive ((la donna/l'amore).
Avendo più valenze, i fiori di ciliegio, potevano essere usati per rappresentare più concetti e, specialmente in un periodo militaristico, anche difformi dalla loro natura originaria.
Nel tardo medioevo (con accenni in periodi antecedenti) si sviluppo l'estetica del pathos dell'impermanenza, simboleggiata proprio dai petali di ciliegio che cadono. “Cadere come uno splendido petalo di ciliegio” era la metafora militaristica per propagandare il sacrificio dei soldati per l'imperatore.
I fiori di ciliegio nel tempo hanno rappresentato anche le geishe, quindi l'effimero e breve amore non riproduttivo, ma anche i “cigho”, “i ragazzi del tempio”, quindi non solo l'amore eterosessuale.
I simbolismi legati all'estetica dei fiori di ciliegio nacquero (e si svilupparono nei secoli) proprio per identificare il “gruppo sociale giapponese”. Specialmente per distinguerlo (e separarlo) da quello che, allora, era l'unico altro “gruppo sociale non giapponese”, la Cina, che come simbolo aveva il fiore di pruno. In questo modo la classe aristocratica giapponese riuscì ad emanciparsi culturalmente dalla Cina.
Nel periodo Edo il Giappone divenne culturalmente e materialmente la terra dei fiori di ciliegio. Oltre ad essere piantati per motivi pratici, le radici del ciliegio consolidavano gli argini dei fiumi e si credeva che i loro petali purificassero le acque, i daimyo che soggiornavano a Edo (su ordine dello shogun) piantavano i ciliegi dello loro province. Inoltre un famoso botanico, Kaibara Ekken, nel 1709 scrisse un trattato di botanica in cui affermava che il ciliegio non esisteva in Cina, quindi, per esclusione, era un albero presente solo in Giappone. Grazie a Kaibara Ekken la classe dirigente del periodo poteva vantarsi della giapponesità del ciliegio.

La seconda parte del libro si concentra sul Giappone moderno dell'era Meiji, fino alle conquiste imperialiste e alla militarizzazione della seconda guerra mondiale.
In questo periodo storico i fiori di ciliegio vennero identificati nel sacrificio dei sudditi per l'imperatore come splendidi fiori di ciliegio. Per meglio illustrare questa evoluzione militarista dei fiori di ciliegio l'autrice analizza in dettaglio vari passaggi storici, come la creazione del culto dell'imperatore tramite “il proclama imperiale ai soldati (gunin chokuyo), la costituzione del Giappone imperiale (dai nippon teikoku kenpo), “il proclama imperiale sull'educazione” (kyoiku chokugo).
Nel primo articolo della nuova costituzione si affermava la falsità che la stirpe imperiale era una dinastia ininterrotta dal primo imperatore Jinmu.
Nello spiegare alcuni cambi di costume avvenuti durante la Restaurazione Meiji, l'autrice riporta anche quelli alimentari, che reintrodussero nella dieta il consumo di carne, considerato fino ad allora impuro. Una parte veramente interessante del libro.
Una volta che gli oligarchi scelsero il sistema imperiale prussiano come esempio di governo ed iniziarono a redarre la nuova costituzione erano, però, necessari alti accorgimenti legislativi (e non solo) per creare il legame imperatore/popolo, che non esisteva. Dal punto legislativo vennero promulgati, tra gli altri, i due proclami imperiali ai soldati e sull'educazione (rivolto agli studenti e alle scuole), gli altri espedienti furono 3: l'adozione di un nome di imperatore per ogni epoca, con l'obbligo della memorizzazione; l'esecuzione di rituali (ex novo, inventati completamente) religiosi e civili per commemorare l'origine millenaria della dinastia imperiale (anche grazie all'introduzione dello shintoismo di Stato); l'uso (pensato a tavolino) di termini arcaici per identificare l'imperatore ai suoi sudditi.
Per esempio gli oligarchi modificarono il concetto di “divinità-essere umano” in “imperatore come dio in forma umana”. Per riferirsi all'imperatore venne ripescato l'arcaico e dimenticato termine “kimi”, usato nell'inno giapponese. Venne introdotto il prefisso “ko” imperiale: “paese imperiale” (kokuko); “esercito imperiale” (kogun); “pietà imperiale” (ko'on).
Utilizzando i versi di antiche poesie, che narravano delle antiche guardie di confine del periodo che va dal 600 al 800,gli oligarchi crearono il mito del soldato che sa sempre s'immolava felice per l'imperatore. Tra l'altro stravolgendone il senso reale, infatti queste poesie erano in realtà dei testamenti in cui i soldati (non volontari) scrivevano le loro ultime volontà prima di morire in battaglia. Gli scritti erano pieni di dolore e rammarico per dover abbandonare la vita e i familiari, lamentandosi di essere stati arruolati contro la propria volontà. Il senso degli scritti di queste guardie di confine assomigliano agli scritti dei piloto tokkotai.
Queste poesie divennero l'esempio (falso) che i soldati si erano sempre sacrificati per l'imperatore, anteponendo la fedeltà al Tenno a quella verso i genitori, obblighi verso i genitori che era una delle basi della società giapponese.
In generale fu confezionato per le masse un sistema imperiale completamente nuovo come se fosse sempre esistito.
Col proclama imperiale sull'educazione la fedeltà all'imperatore (chu) e quella ai genitori (ko) diventavano parte di un solo concetto, che vedeva l'imperatore come “padre” di tutti i giapponesi, e quindi beneficiario primo della fedeltà. La fedeltà verso l'imperatore assorbiva quella verso i genitori. I passaggi per giungere a convincere i sudditi a sacrificarsi per l'imperatore furono diversi, l'istituzione del santuario ai caduti Yasukuni, la coscrizione di leva, come i metodi per manipolare le masse tramite la religione, l'informazione e la scuola.
Nel proclama imperiale ai soldati c'era scritto: “...tale dovere [quello di fedeltà all'imperatore] è più pesante delle montagne, ma la morte è più leggera di una piuma”.
Per secoli l'imperatore era solo uno dei tanti kami del panteon religioso giapponese, la costituzione Meiji lo trasformò nel dio principale.
Molto interessante la parte che riporta i gruppi sociali contrari ala nuova costituzione: liberali, i leader cristiani,i sindacati, i comunisti.
Nel proseguo della seconda parte del saggio vengono analizzati i cambiamenti che il regime pose in atto per trasformare i fiori di ciliegio in simbolo militare, e nel simbolo del sacrificio eroico per l'imperatore. La militarizzazione dei fiori di ciliegio, che raggiunse il topo con i piloti tokkotai, avvenne in un periodo lungo, dall'inizio della Restaurazione Meiji alla fine della seconda guerra mondiale.
Nel primo periodo Meiji, l'inizio delle modernizzazione, gli alberi di ciliegio erano visti come simbolo del Giappone feudale dello shogun, ma anche come emblema del Giappone presente e futuro. Come simbolo del passato gli alberi di ciliegio furono abbattuti in grande quantità, mentre chi li considerava ancora il simbolo del Giappone impediva gli abbattimenti e ne piantava di nuovi.
Successivamente, pur non enfatizzando ancora il concetto di sacrificio, i fiori di ciliegio iniziarono a venir elogiato per il fatto di non ostinarsi a rimanere sui rami ad appassire, meglio era cadere a terra ancore in fiore, piuttosto che marcire sui rami. La metafora, usata in raffronto ad altri fiori (simboli di Cina e Corea), intendeva elogiare il popolo nipponico e le sue virtù di fedeltà, docilità, onestà ed ubbidienza. In pratica un soldato (ma anche il suddito in generale) doveva essere pronto a morire senza rimanere attaccato alla vita, ma ancora non veniva fatto un collegamento diretto tra i petali di ciliegio caduti e i soldati. Nella trasformazione del significato dei fiori di ciliegio il santuario di Yasukuni ai caduti ebbe un ruolo importante. Inizialmente il santuario di Yasukuni fu eretto solo per dare pace allo spirito dei soldati caduti in battaglia (per l'imperatore, solo se morivano per l'imperatore avrebbero avuto accesso al santuario), in seguito essere nel santuario divenne un onore, proprio perché ci si era sacrificati per l'imperatore. I primi ciliegi vennero piantati nello stesso periodo della costruzione del santuario solo per motivi estetici,non furono piantati per una propaganda politico/militare. Man mano, nelle stampe del periodo, si vedevano sempre di più riprodotto i ciliegi, e la loro presenza era enfatizzata. Fino a che i soldati caduti in battaglia divennero i soldati caduti per l'imperatore, e vennero raffigurati come i petali caduti dei ciliegi in fiore. I fiori di ciliegio che sbocciano come le anime dei soldati custodite nel santuario, una rinascita in virtù di un sacrificio.
All'inizio della Restaurazione Meiji si fornì l'esercito e la marina di uniformi militari in stile occidentale. Il fiore di ciliegio (nelle variegato sue forme) fu sempre più usato per bottoni, mostrine, stemmi, emblemi militari e anche medaglie.
Inoltre vennero composte due canzoni popolari, una per i “soldati ragazzini dell'aeronautica” ( shonene kokuhei) e l'altra per i fanti, nel cui testo li si esortava a cadere come i petali per l'imperatore. La canzone per i “shonene kokuhei” (o “shonene hikohei”) li presentava come petali cadenti che sarebbero rinati come fiori di ciliegio nel santuario di Yasukuni, dove l'imperatore gli avrebbe reso omaggio.
Si iniziò ad usare termini che identificavano i soldati coi petali di ciliegio, per esempio la parola “sange”, che significava “disperdersi come fiori” in riferimento alla morte in battaglia, Senonché “sange” era un termine riguardante il buddhismo e con un significato completamente diverso.
Venne modificato il concetto di “gn shin”, che da “divinità di guerra”, cioè gli dei che proteggevano i samurai, divenne “soldati deificati”. Soldati morti valorosamente in battaglia per l'imperatore (anche nelle ere passate) venivano eletti a rango di dei, come esempio per tutti si soldati dell'impero. Eroi di guerra antichi e recenti (della guerra russo-giapponese) divennero il mito da seguire e le loro gesta da ripetere.
Un altro termine per estetizzare la morte in battaglia fu “gyokusai”, “una sfera di cristallo che va in frantumi”, cioè i suicidi di massa di soldati e civili allo scopo di arrecare maggiori danni ai nemici o di non essere presi come prigionieri.
Anche gli intellettuali fecero la loro parte. Nitobe Inazo, per esempio, scrisse una rielaborazione del bushido, collegandolo all'anima giapponese, e i fiori di ciliegio come simbolo del Giappone, Infine sostituì la fedeltà al signore feudale con la fedeltà all'imperatore, equiparandolo al padre. Con la rielaborazione del bushido i fiori di ciliegio divennero le anime dei giapponesi, militari in primis. I militari trasformarono i fiori di ciliegio che sbocciavano in soldati deificati nel tempio di Yasukuni.
A questo punto si era invertito il significato religioso originario, dove il dio della montagna scendeva sulle risaie su petali di ciliegio per dare la vita, offrendo la propria anima. Quindi un dio che si sacrificava per gli uomini, ora, invece, erano gli uomini che i sacrificavano (simboleggiati dai fiori di ciliegio) per un dio, l'imperatore.
Assieme alla vittoria della guerra sino-giapponese i militari iniziarono la campagna per la diffusione degli alberi di ciliegio. Vennero piantati ovunque, e seguirono le conquiste territoriali giapponesi in Cina, Corea e Taiwan.
Nel finale di questa seconda parte l'autrice spiega come le masse giapponesi vennero militarizzate, considerando sempre il simbolismo dei fiori di ciliegio. Sono presi in esame alcuni libri di testo di scuola elementare di vari periodi (1990; 1903; 1905; 1932). Sempre nelle scuole, anche materne, venne introdotta l'educazione musicale tramite le canzoni, i cui testi erano in varie misure di propaganda politico/militare nazionalistica. Anche con le canzoni, come per i testi scolastici, il simbolismo dei fiori di ciliegio era sempre presente. Viene dato conto anche della canzoni popolari con il medesimo contenuto propagandistico.
Eccone un esempio, il testo di una canzone molto popolare del 1905: ”L'onore della patria è l'onore per se stessi/ un uomo giapponese trova un senso nel cadere/ il profumo è per la vita dopo la morte/ Kudanzaka carica del profumo dei fiori di ciliegio”. Dove Kudanzaka è la località dove si trova il santuario di Yasukuni.
Anche il teatro fece la sua parte nell'identificazione dei petali di ciliegio con la morte dei soldati per l'imperatore. In particolare nella rappresentazione teatrale “Dei 47 ronin fedeli”, che venne ampiamente modificata nelle ere Meiji, Taisho e Showa. Creando il sacrificio per l'imperatore (inesistente nell'originale) ed esaltando il simbolismo dei ciliegi.

Dalla terza parte del libro inizia l'analisi diretta del fenomeno delle operazioni tokkotai (i piloti kamikaze). I temi trattati sono molti: verifica della propaganda, se questa riuscì a convincere i piloti a morire felici; esempi sul simbolismo dei fiori di ciliegio in connessione con il sacrificio dei piloto; la creazione e la messa in opera dell'operazione tokkotai; la vita dei piloti in caserma; le numerose lettere e i diari di cinque piloti tokkotai, dalle quali si comprende cosa li avesse mossi, i dubbi e le paure; le testimonianze dei familiari sullo stato d'animo dei piloto tokkotai.
Tokkotai” è l'abbreviazione di “tokubetsu kogekitai” (corpi speciali d'attacco), anche se in occidente sono più conosciuti come kamikaze. L'operazione tokkotai fu ideata dall'ammiraglio Onishi Takijiro, ed istituita nell'ottobre del 1944, quando la sconfitta era sentita come inevitabile. Il loro scopo era di carattere difensivo contro l'imminente invasione statunitense. Fu deciso che il corpo dovesse avere carattere “volontario”, visto che implicava la morte certa, anche se i volontari (se si possono chiamare così) furono solo due terzi del totale. Nelle operazioni tokkotai, oltre agli aerei, vennero usati anche i siluri (in realtà mini sommergibili) pilotati da uno o due militari, erano chiamati “siluri umani” (ningen gyorai). Vennero utilizzati anche altri mezzi, come alienati, barche e razzi, ma gli aerei e i siluri furono le armi umane principali. Durante il primo attacco, il 25 ottobre 1944 e Leyte, l'efficacia degli attacchi fu ottima(il 20% di navi affondate rispetto agli attacchi), ma ben presto gli usa adottarono valide contromisure, facendone crollare l'efficacia (5% di navi affondate rispetto agli attacchi).
I riferimenti ai fiori di ciliegio erano onnipresenti, i piloti portavano con se ramoscelli di ciliegio fioriti, venivano dipinti sulle carlinghe degli aerei, i nomi degli squadroni vi facevano riferimento, lo stesso simbolo scelto per l'operazione tokkotai (da dipingere sugli aerei) era un fiore di ciliegio.
In caserma i “soldati studenti”, che “accettando” di divenire volontari sarebbero entrati a far parte dell'operazione tokkotai, subivano umiliazioni e violenze fisiche da parte dei lori superiori, che erano militari di carriera. Questi militari di carriera non perdonavano ai “soldato studenti” di aver potuto studiare all'università (cosa che a loro era stata preclusa), e di provenire (molti di loro) da famiglie agiate, sfogavano così sui militari di leva la gelosia e le frustrazioni accumulate. I maltrattamenti continuavano anche quando i “soldati studenti” diventavano “volontari” kamikaze in attesa solo di partire per la morte.
Del gruppo degli ufficiali che partecipò alla creazione dell'operazione tokkotai solo 2 partirono in volo per attacchi suicidi. Inoltre tra tutti i piloti che erano militari dio carriera nessuno si offrì volontario, nessuno. I volontari erano scelti tra le file dei “soldati studenti”, che erano tutti coscritti. Arrivati alle basi i “soldati studenti” si sentivano chiedere di “offrirsi volontari”. In una grande sala, dopo un discorso nazionalistico, veniva detto ai volontari di fare un passo avanti. La pressione psicologica a fare quel passo avanti era fortissima (senza contare cosa avrebbero dovuto subire se non avessero fatto quel passo), ma ancor di più era il senso di colpa di salvaguardare la propria vita, mentre gli amici accettavano di sacrificare la propria, che li spingeva ad accettare di essere volontari. Comunque i piloti tokkotai erano convinti che i militari usa, dopo aver vinto la guerra, li avrebbero uccisi tutti, tanto valeva morire da eroi. Ci furono lo stesso casi di soldati che non si offrirono come volontari, ma a quel punto era il comandante della base ad accettare per loro, non volendo sfigurare davanti al loro superiore diretto. Alcuni soldati che si rifiutarono di far parte dell'operazione tokkotai riuscirono a sopravvivere.
Era prassi che i figli dei politici importanti, di un ufficiale di alto grado, di un uomo di affare potente o di un membro della famiglia imperiale potessero offrirsi come volontari, ma non avrebbero mai ricevuto l'ordine di partire in missione. Inoltre, entro un certo limite (e fino ad un certo periodo), venivano esentati i primogeniti, indipendentemente dallo status sociale, perché ai primogeniti era demandato il compito di occuparsi dei genitori.
Oltre al fervore patriottico e alla pressione cameratesca, un altro motivo spingeva i “soldati studenti” ad accettare di diventare “volontari”, erano gli incentivi ed indennizzi economici di cui avrebbero usufruito i familiari dopo la loro morte “eroica”. Un soldato che accettava di sacrificare la vita in battaglia riceveva la promozione di 2 gradi immediatamente, con relativi benefici economici.
Negli scritti dei piloti tokkotai i riferimenti ai fiori di ciliegio che cadono, come metafora della propria morte, sono continui.
I genitori giapponesi erano terrorizzati dalla “akagami”, “carta rossa”, la cartolina precetto. Non rispondere alla chiamata di leva voleva dire essere uccisi dalla polizia militare. Capitava che le madri dei piloti tokkotai, saputo l'incarico suicida del figlio, si suicidassero addirittura prima della morte del figlio.
Nell'ultimo capitolo di questa terza parte sono riportate le lettere e i diari di 5 piloti tokkotai, ma anche le loro letture di libri (per meglio comprendere il loro alto grado di istruzione e auto consapevolezza), oltre a numerose testimonianze sulla loro vita. L'analisi non è limitata al periodo precedente la loro partenza in missione, ma parte anche dal periodo scolastico. Questi diari erano sottoposti alla censura militare, di cui gli stessi Piloti si lamentano, nonostante ciò riuscirono a far pervenire i propri diari alle famiglie, anche auto censurandosi.
I nomi dei cinque piloti sono:
Sasaki Hachiro
Hayashi Tadao (non mori come pilota tokkotai, ma come pilota volontario di un ricognitore)
Wada Minoru (era un pilota di un “siluro umano”, morì soffocato dentro il siluro per un'avaria. L'aria nel siluro durò 10 ore prima di esaurirsi...)
Hayashi Ichizo (era di religione cristiana e di una fervente famiglia cristiana)
Nakao Taketoku
Questo capitolo non può in alcun modo essere riportato in nessuna misura, deve essere letto totalmente.

La quarta parte del saggio si occupa del nazionalismo e del patriottismo giapponese.
Il regime giapponese riuscì a creare il valore che chi moriva per l'imperatore avrebbe meritato la glorificazione della sua anima. Con la connessione tra i petali dei fiori di ciliegio e le anime dei soldati morti lo Stato estetizzò l'obbligo del sacrificio, sfruttando l'assenza del corpo nell'aldilà giapponese, aldilà anch'esso vago.
Esistono delle similitudini tra nazismo e fascismo giapponese, ma per i tedeschi uccidere il nemico era prioritario, per i giapponesi divenne il sacrificio dei soldati nipponici la priorità.
I concetti di nazionalismo e patriottismo sono analizzati nell'ottica degli scritti dei 5 piloti tokkotai.
I piloti tokkotai non andarono incontro alla morte felici, né lo fecero per l'imperatore. Erano patrioti, e il loro sacrificio era attuato credendo che avrebbe portato alla nascita di un Giappone nuovo. Ovviamente c'era anche il desiderio di difendere il Giappone, e le proprie famiglie, dagli invasori statunitensi. Tutte queste considerazioni dell'autrice sono basate sulla lettura di numerosi diari (che dovevano essere compilati obbligatoriamente dai piloti tokkotai).

Il quarto capitolo è quello che ho trovato più difficile da leggere, chi avesse conoscenze di filosofia e sociologia non incorrerà di certo nelle stesse mie difficoltà.


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