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giovedì 17 luglio 2014

Giocattoli italiani in crisi e cartoni animati giapponesi - 5 articoli tra il 1978 e il 1980



In questa mie esposizione di vecchi articoli giornalistici riguardanti i "cartoni animati giapponesi" della fine degli anni 70/primi anni 80 si son potute leggere un sacco di accuse che venivano loro mosse, quasi tutte insensate, oppure inventate, però una non era poi così campata in aria: aver provocato la primi crisi della fiorente industria italiana del giocattolo.
L'articolo sopra fu pubblicato su "La Stampa" nel gennaio 1980, e non escluderei che una delle motivazioni che spinsero mamma Rai ad eliminare i robottoni dalla loro programmazione, oltre le polemiche sulla loro presunta violenza, furono le proteste degli industriali del giocattolo.
Ovviamente tutte queste mie considerazioni, supportate dagli articoli giornalistici, riguardano i giocattoli per maschietti, perché quelli per femminucce restavano tranquillamente al palo tecnologico, riproponendo i vari bambolotti piagnucolosi e urinanti, le perfette Barbie etc.
Ripensando ai miei gusti (e dei mie amici d'infanzia) del periodo non c'è dubbio che modificai molto ciò che richiedevo alla mia famiglia, meno soldatini Atlantic (chiedo perdono...) e più robottoni, meno macchinine e più videogiochi portatili.
Restavano i giochi in scatola, ma il soggetto si spostava dal Monopoli allo spazio.
C'è da dire che non furono solo i primi anime a generare questo cambio di gusti nei bambini italiani dell'epoca, basti pensare a Guerre Stellari, Star Trek (che nel medesimo periodo era trasmesso da Tele Monte Carlo) o Spazio 1999, però Goldrake, Heidi e Remì ebbero un impatto più violento sull'industria italiana del settore.
Senza contare che l'era dei videogiochi era ormai arrivata, ed un videogioco è un mondo a parte, l'Atlantic, per quanto si sforzasse di stare al passo coi tempi, partiva battuta in partenza.
Nei 3 cataloghi di giocattoli del periodo natalizio che fino ad ora postato già si nota il cambio dell'offerta. In quello del 1977 sono assenti i personaggi degli anime, ma in quello del 1979 e del 1980 il loro ingresso è massiccio, il tutto nel giro di pochi mesi.
Quindi le accuse degli industriali italiani del giocattolo, che si possono leggere anche nel quarto volume di "Viaggio nell'Atlantic", avevano un fondamento. Comunque gli stessi produttori italiani cercarono di ridurre i danni acquistando varie licenze di serie giapponesi, e producendo in Italia giocattoli a loro ispirati.
Come sempre, però, i giornalisti italiani ci mettevano del loro, riuscendo ad accusare i giocattoli made in Japan (anche se poi erano prodotti in Italia su licenza giapponese...) di essere addirittura nazisti!
Come scrisse tal Donata Gianeri su "La Stampa" nel giugno del 1979, a cui non parve abbastanza criticare il tipo di giocattolo ispirato agli eroi televisivi nipponici, ma dovette metterci il carico da 90 del nazismo.
Per la cronaca il "Karza" del titolo sarebbe il "Baron Karza" dei Micronauti, ergo anche lui jappo, benché non ispirato direttamente a nessuna serie animata nipponica, anche se le fattezze erano quelle di Jeeg, testa a parte.



Inizialmente l'autrice si limita a contestare la moda del "mostro", che ormai imperversa in Italia.



Poi fa presente, anche giustamente, che una volta una genitori se la cavavano con un pallone ed una bambola, mentre già nel 1979 le pretese dei bambini erano più onerose.
Ma verso la fine inizia il botto pirotecnico, paragonando "Baron Karza" dei Micronauti al Minotauro.




Quindi si scaglia contro Gandal e Lady Gandal, ma li chiama Goldrake(...): "...un guerriero la cui faccia si apre come uno sportello, e dentro c'è un'altra faccia, di donna però."
Tocca "alle donne nude un po' ninfomani... trasformabili all'occorrenza in streghe", forse si riferiva Fujiko? Mistero.
Ci spiega che il violento Goldrake è per metà samurai e per metà Sigfrido.
Dal "Rassegnamoci" in giù siamo al delirio, ma di quelli pesanti.
Però 35 anni dopo un articolo così due belle risate te le fa fare.




Nel luglio del 1978 su l'Unità il giornalista Giampaolo Fabris, prendendo spunto proprio dal successo dei giocattoli ispirati ad Heidi e Goldrake, si lancia in una analisi sociologica sui due anime assai traballante.




Intanto Goldrake non era per nulla ispirato a "Guerre Stellari" e men che meno ad "Incontri ravvicinati del terzo tipo"...





"Atlas - che ha incorporato un Ufo Robot - è l'astronave di Actarus"... questo succede quando si rinuncia a seguire il proverbio milanese "Ofelè fa el to mesté”.




Qui Fabris dimostra incontrovertibilmente che Heidi e Goldrake, nonostante paiano antitetici come messaggi trasmessi ai bambini, sono, in realtà, identici.




Quindi si scaglia sulla mercificazione dei gusti dei bambini, ma sui contenuti di Heidi e Goldrake il giornalista preferisce soprassedere, che cuore nobile dimostra, non vuole far polemiche.
Ma fino ad ora cosa ha fatto?








Per fortuna sul "Corriere della Sera" del 28 gennaio 1979 c'è la solita Giulia Borgese che prende di nuovo la parte dei bambini e dei loro nuovi gusti. La giornalista del Corsera difenderà Goldrake più volte, qui sul blog ci sono per ora un paio di articoli: gennaio e maggio 1979.







Il tutto prende spunto dal salone del giocattolo della fiera di Milano del 1979, Giulia Borgese vi si reca e nota il cambiamento dei gusti dei bambini, in special modo l'introduzione massiccia dell'elettronica, ma anche i robottoni giapponesi.






I robot giapponesi sono per Giulia Borgese "disegnati in modo molto elegante, armati di armi magiche, coloratissimi, pesanti e molto costosi."
Annunciando in anteprima l'arrivo sul mercato italico dei Micronauti, che quindi arrivarono nel gennaio 1979.



Alla fine dell'articolo si rammarica che per le bambine l'offerta di nuovi giocattoli non sia varia come per i maschietti.
Nessuna polemica, nessuna accusa, niente nazismo.




Allo scopo di mostrare quanto l'industria italiana produsse su licenza giapponese, quindi riducendo i danni economici, ecco una carrellata di giocattoli della serie "Remì e le sue avventure", nuovo successo Rai dell'autunno 1979.
L'articolo è presente nel "TV Sorrisi & Canzoni" della settimana dal 9 al 15 dicembre 1979.
Non può mancare nel titolo l'accenno alle "lacrime giapponesi".
Praticamente non c'è testo, solo una carrellata di giocattoli, pubblicità occulta?












Quelle che invadevano gli scaffali dei negozi di giocattoli di Remì erano, alla fine, tutte aziende italiane.










2 commenti:

  1. Ciao, bella ricerca, un solo appunto, la crisi del giocattolo (o meglio della fabbricazione di giocattoli in Italia) ha una causa molto meno poetica purtroppo, non dipese dai cambi di gusti dei bambini ma dall'aumento del costo della manodopera italiana portando ad una progressiva quanto inevitabile migrazione dalle fabbriche italiane alle fabbriche orientali e lasciando in Italia solo importatori di giocattoli e non fabbricanti... i grandi marchi italiani avrebbero potuto sopravvivere se avessero investito maggiormente in ricerca e sviluppo e trasformandosi da produzione a sola progettazione, ma non ci riuscirono (forse complice anche la politica italiana che rende difficoltoso il rinnovo degli asset aziendali, ma è un ipotesi) e progressivamente furono sconfitte dai grandi marchi internazionali (l'ultima a perire è stata la Bburago pochi anni fa)...

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    1. Ciao a te e grazie del commento ;)
      Un paio di appunti al tuo appunto :)
      Però il discorso dei maggiori costi (comprese le materie prime) rispetto all'oriente vale da sempre, anche oggi, con la sola differenza che negli anni 70 e 80 si poteva svalutare la lira. Una bella svalutazione e l'export s'impennava, ma non il mercato interno.
      Ma per rimanere sia sul mercato interno (quindi senza il vantaggio della svalutazione) che su quello estero (nonostante il vantaggio della svalutazione della lira) bisognava, come di ci tu, innovare.
      Ma cosa vuol dire innovare?
      Creare nuovi giochi oppure seguire l'onda.
      E qui, scusami tanto, ma i gusti dei bambini sono prioritari.
      Tu puoi fare il più bel trenino del mondo, al costo più competitivo del mondo, ma se il bambino vede sullo scaffale il videogioco portatile del Gundam, o il Gundam stesso, il tuo trenino rimane a prendere polvere:

      http://imagorecensio.blogspot.it/2014/03/guindam-lsi-portable-game-bandai-1981.html

      La Polistil cercò di creare dei videogiochi all'italiana, alcuni li comprai anch'io:

      http://imagorecensio.blogspot.it/2013/12/memoquiz-polistil-1979.html

      Ma non c'era paragone tra il Memoquiz e "Gundam LSI Portable Game Bandai"!

      Come ho fatto notare in questo post (non che abbia scoperto un segreto industriale) ad un certo punto le industrie italiane del giocattolo cercarono di restare sul mercato (vedi, di nuovo, restare al passo coi gusti di noi bambini di quel periodo) comprando varie licenze dai giapponesi.
      Ma come l'Atlantic insegna con le licenze di Goldrake e Capitan Harlock talvolta arrivarono nei negozi a boom finito.

      Per ultimo, per una volta, eviterei di dare la colpa ai governi. Un'azienda privata è un'azienda privata. Non puoi mica aspettare che il ministero dell'industria di crei il videogioco nuovo o ti obblighi ad avere idee innovative.
      L'Italia non sviluppo mai un'industria del videogioco, nè personaggi italici nuovi su cui sviluppare il merchandising nel mondo, colpa della politica?

      Tutto questo discorso vale, a mio avviso, più per i giocattoli per i maschietti, perchè quelli per le bambine erano meno innovativi.

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